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Drammi familiari, memorie rimosse e legami mai del tutto ricuciti sono il filo rosso che lega quattro dei cinque finalisti del Premio Strega 2025, protagonisti ieri sera sul palco del teatro Il Maggiore, dove hanno dialogato con Alessandra Tedesco (Radio 24) davanti a un pubblico partecipe e caloroso.
Nadia Terranova, con “Quello che so di te” (Guanda), riscrive una storia taciuta: quella della bisnonna Venera, internata in manicomio dopo aver perso una figlia mai nata. Una vergogna che attraversa le generazioni fino a riemergere attraverso la voce dell’autrice, che intreccia la memoria familiare con la propria gravidanza, alla stessa età – 37 anni – della protagonista.
Elisabetta Rasy, in “Perduto è questo mare” (Rizzoli), rievoca la figura di Raffaele La Capria come mentore letterario, per poi virare su un padre biologico ritrovato tardi, nel 1963, segnato dalla depressione. Una figura sfuggente, simbolo di un tempo in cui il dolore si celava dietro il pudore.
Andrea Bajani, con “L’anniversario” (Feltrinelli), parte da una scena ordinaria – la porta che si chiude dietro un figlio adulto – per scavare nei silenzi di una famiglia soggiogata da un padre autoritario, riflettendo sul peso di ciò che non viene detto.
Michele Ruol, in “Inventario di quel che resta quando la foresta brucia” (TerraRossa), affronta il lutto più estremo: la morte di due figli. Un romanzo rarefatto e doloroso, dove la tragedia è evocata senza nomi, raccontata attraverso le reazioni divergenti di madre e padre.
Diverso il percorso di Paolo Nori, che in “Chiudo la porta e urlo” (Mondadori) rende omaggio a Raffaello Baldini, poeta romagnolo poco noto ma centrale per la formazione dell’autore. Più che una biografia, un confronto personale e letterario, in cui Nori si racconta attraverso l’opera e la figura di Baldini.
Un appuntamento intenso e fluido, durato un paio d’ore, chiuso da lunghi applausi e da quella sensazione condivisa che la letteratura – anche nei suoi toni più intimi – continui a parlare a tutti.